Secondo le statistiche emergenti l’uomo medio risulta molto meno appagato oggi di quanto lo fosse 50-60 anni fa, malgrado il fatto che nel frattempo lo standard di vita è migliorato del 300%. La ragione è che da tempo non siamo più in contatto con la natura e con la vita, gli uni con gli altri, ma in particolar modo con noi stessi. E per vedere la situazione difficile e di grande malessere in cui oggi orbitiamo non dobbiamo guardare soltanto all’attuale crisi pandemica, che ha messo in discussione tutte le nostre certezze, ma spostare il nostro sguardo a ritroso. Infatti, a ben guardare, abbiamo impiegato 50 anni per costruire città e case sempre più grandi e distanti dalla natura. Ciò ha avuto ripercussioni ambientali e sociali pesantissime. Abbiamo accumulato beni di ogni tipo, abbiamo migliorato il nostro sostentamento, abbiamo avuto riconoscimenti di ogni genere e status, abbiamo implementato le nostre tecnologie, abbiamo fatto passi d’avanguardia nella scienza della cura, ma ciò non ha placato il malcontento e il senso di isolamento interiore. Questo perché non ci hanno insegnato a vivere in armonia con gli altri e con il mondo, che è la nostra vera casa, innescando la credenza che per sopravvivere bisogna competere, lottare, ottenere e proteggersi da chi abbiamo intorno. Invece di imparare a vivere insieme come un'unica famiglia umana, ci è stata inculcata la paura, e abbiamo finito per temere il prossimo.

 

Gli Abeti, maestri di relazione

Gli Alberi creano famiglie, tribù, comunità e popoli interi. Ogni specie ha il suo modo prediletto e preciso di essere individuo, individuo all’interno della specie e popolo nella collettività. Qual è il mito che impersonifica per esempio l’Abete bianco, presenza delle cime delle montagne? Ogni esemplare percorre la sua chiamata a essere un’antenna vivente, raccogliendo il respiro del Cielo, e ogni albero singolo si pone in relazione ai suoi simili con cui decide con l’Abetaia di creare una comunità quasi monospecifica, un monastero vegetale in cui si impara a convivere e a fare gruppo. Abete bianco, albero del Solstizio invernale e del più recente Natale, ci mostra la sua attitudine ad ascoltare il canto dei cieli stellati e a portarlo sulla terra. Per questo lo adorniamo di luci e stelline. Nelle Abetaie il nostro respiro si fortifica e si purifica e il nostro sguardo si rivolge all’alto. Ma di sotto, nella terra, gli Abeti stringono forti connessioni fra di loro con rocce, terra e con tutti gli esseri che la vivono. Sotto esistono vicinanza e collaborazione, vita e intimità, nella foresta dove vivono piante selvatiche e spiriti liberi.


Se fermassimo della gente per strada e chiedessimo loro cosa vogliono dalla vita, così da ottenere un’opinione sincera, dal cuore, molti risponderebbero, mai come prima: “Intimità! Voglio sentirmi vicino al mondo e voglio che qualcuno sia vicino e intimo con me. Voglio avere un contatto profondo con me stesso. Voglio sentirmi parte di qualcosa!”.
Per molte persone, infatti, l’erba che spunta dalle crepe dei marciapiedi è l’unica forma di vita che s’incontra durante l’arco di tutto il giorno. La maggior parte di noi vive in città o trascorre gran parte del suo tempo in casa o in luoghi di lavoro, dove diventa facile dimenticare che siamo parte di un pianeta vivente, che siamo imparentati con altre forme di vita, anche se non le vediamo mai. È come vivere in un museo creato da qualcuno che ha deciso di non metterci nessun elemento naturale, allontanandoci dall’essenza di ciò che ci ha creato. Eppure non ci vuole molto sforzo per tornare all’origine, per capire da dove veniamo e cosa siamo diventati.

Ritrovare la via di casa

Quindi qual è la soluzione? Forse un ritorno alla natura, che ci riporti automaticamente alla nostra più vera natura, quella interiore, dove ci possiamo riappropriare di quella dimensione che ci dice che dentro di noi c’è qualcuno che vive e che sente. Se ci pensassimo, ci accorgeremmo, infatti, di non averla mai lasciata, perché tutto ciò che siamo e possiamo diventare dipende da un mosaico di vita, un sistema di vasi comunicanti che è enorme, lussureggiante e fertile. Sono i nostri corpi che per primi portano questo messaggio straordinario, che siamo del tutto interdipendenti dagli altri, dalla vita del pianeta e del cosmo parlando il suo stesso linguaggio.
Ed è qui che la natura ci viene in aiuto - come vedremo in seguito anche con i suoi rimedi preziosi - ricordandoci che è proprio nella nostra profonda somiglianza che possiamo intravedere la via. Solo attingendo ad essa e ritornando in comunione possiamo disfarci della maschera della separazione che crea malessere e disequilibrio.
Come la sua forza ci insegna, ad ogni morte invernale segue sempre una nuova rinascita, un’apertura accresciuta dal tepore della luce di una nuova stagione. Lo stesso vale per noi. Quando permettiamo al nostro mondo interiore di aprirsi e germinare secondo il tempo consono al suo processo naturale di sviluppo, questo fiorisce. Come un seme che se messo nel terreno si gonfia e si spacca, così è per quella sofferenza che se non rifiutata o negata, ma messa in una condizione di accoglienza e di ascolto, ci trasforma profondamente, facendo spazio al nuovo. Per far questo è necessario, però, un ritorno all’origine, nel nucleo più profondo che ci lega alla vita e che è l’ingrediente fondamentale per far germogliare il nostro mondo interiore. Questo elemento è l’amore, ovvero quella forza che ci appartiene e che ci fa dire: "chi sono io veramente?", "chi è che ho smesso di essere?", "dove ho alzato muri e barriere?".

 

Il Frassino: vedere chiaramente chi sono

Il mito vivente incarnato dal Frassino ci accompagna a purificare la nostra visione interiore. Cosa vedi dentro di te quando ti guardi riflesso sulla superficie del lago?
Ma prima ancora di poter chiedere chi siamo veramente e di guardarci riflessi sullo specchio d’acqua, il Frassino ci accompagna a riconoscere il padre Cielo e il suo Sole che brilla e illumina e semina la madre Terra che partorisce vita, la nutre e la mantiene con l’Acqua. Potersi riconoscere e guardare senza pregiudizi è facilitato dall’archetipo del Frassino, che mette insieme l’incontro fra un cielo paterno che semina e una terra materna che ama e nutre tutte le sue espressioni di vita, partorite con la vita stessa che passa attraverso l’Acqua.
L'Acqua mantiene l’esistenza in coerenza e la linfa che scorre nel Frassino riempie anche l’acqua del nostro corpo di questa informazione, frequenza e armonia. Questa condizione di vitalità ci permette poi di guardarci dentro e vedere chiaramente chi siamo. Vedere significa osservare con curiosità e meraviglia la nostra immagine. A volte occorre disfare corazze, squame e calare maschere. Lo Spirito del Frassino veglia su questo processo con  lignea fermezza e amore liquido, permettendo a ciascuno di potersi specchiare per vedere chiaramente chi è. Questa è la partenza per ogni autentica avventura nei mondi dell’esistere.
Per questo forse il Frassino, l’excelsior della antichità, era albero sacro, mito vivente che oggi ci accompagna a calare muri e barriere affinché l’amore indiscusso e naturale per ciò che siamo possa essere la partenza verso ogni viaggio iniziatico.

E questo viaggio iniziatico dentro di noi può partire solo dalla verità delle nostre emozioni. È un viaggio che non si fa con la mente razionale, ma sentendoci e ascoltandoci, arrivando a conoscere un vuoto, andando al di là di ciò che si è abituati a essere, oltre quella saturazione che affolla lo spazio mentale che è pieno di credenze, di giudizi, di opinioni, di cosa vogliono gli altri, di cosa io penso che dovrei essere, di ciò che la società impone. Lascio tutto questo e permetto che una nuova luce entri, riscaldi il dolore, lo faccia decantare e lo trasformi, non negando che ci sia, ma aprendo il cuore alla possibilità di ascoltarlo e vedere da dove proviene, cosa mi sta dicendo di me che non so.
Colui il quale accetta effettivamente di morire all’inverno, cioè a se stesso e alla sofferenza, esattamente come il seme, è colui che salta e compie quel processo alchemico naturale di trasformazione, riappropriandosi di quella forza originaria di meraviglia insita nell’essenza della vita stessa.
Essere meravigliati è un’esperienza istruttiva, è un sentimento ignorato nella cultura moderna poiché è considerato una reazione infantile. Invece non lo è. È la chiave della pace e della riconciliazione da raggiungere, ciò che va dritto al cuore, un’esperienza improvvisa e intuitiva. È riuscire a intravedere la bellezza dell’universo lasciandosi illuminare e accendere, dove non c’è tempo di chiedersi come andrà a finire. Tutto ciò che sai è “sentire”.

Aprirsi alla vita

Forse come non mai, in questo periodo storico, sono proprio la salute e la malattia a costituire i punti salienti per una visione privilegiata di questa società e delle sue trasformazioni, ma soprattutto della condizione umana. Capita a tutti di dover far fronte al dolore. Una lama ardente che punge l'anima e che, nella gran parte dei casi, nasce da questo senso di frammentazione tra sé e il mondo, ma in particolar modo, tra sé e sé, dove a essersi smarrito è proprio quel sentimento autentico di unità, comunione profonda e apertura nei confronti della vita e degli altri. Sofferenze psichiche che muovono il corpo e, al contempo, sofferenze fisiche che impattano sulla mente. Esse non sempre si radicano nelle parole, ma nella memoria esperienziale del corpo stesso che ne conserva le tracce. Una ruota che gira su se stessa, in cui ogni elemento è responsabile dell'inizio e del punto di arrivo in un’interrelazione costante.

Ma tra le due c’è una dimensione sottile che sembra tenerle unite e che rappresenta il ponte privilegiato per il passaggio dell’una all’altra, per il ritorno a sé, alla propria natura. Questo portale è rappresentato dal cuore, che batte a pieno ritmo assecondando i moti del sentire. È questa dimensione così misteriosa ad essere il più vasto spazio di creazione, un oceano in movimento di onde di energia che costantemente generano e modulano l’esperienza di quella persona. Qui non funzionano più le leggi della materia, ma al contrario sono i codici dell’anima a orchestrare. Essi parlano un linguaggio universale quanto condiviso: quello emotivo, il linguaggio di ciò che sentiamo.

 

Il Tiglio: risvegliare il cuore che accoglie

Il Tiglio è uscito dalla foresta già da tempo per insediarsi in mezzo agli umani. Presso i villaggi, i paesi poi e ora le città cerca di profumare ed emanare il suo messaggio conciliatore. Tutto in lui è armoniosa ricerca che si dipana fra gli opposti. Le sue foglie a forma di cuore, o allungate e tenaci, ne segnano il focus. Egli arriva a tenere insieme ciò che pare avverso, separato, diviso. Il suo sapore è dolce, le sue gemme rigonfie di sostanze morbide e acquose accompagnano alla via del cuore. Il suo Spirito ci concede all’arrendevolezza, una misura poco conosciuta della fiducia. Egli ci accompagna allo stato della perdita di tensione nel corpo, che abbassa le spalle, rilassa le scapole, riscalda i palmi delle mani, entra nello spazio fra sonno e veglia con lucida presenza. Prima di conciliare e mettere assieme o far incontrare ciò che pare spezzato, diviso, in contrasto, ci riporta al cuore che accoglie. Il Tiglio accoglie tutti; nessuno teme un giudizio severo sotto di lui. Tutti possono portare sul proprio piatto, nel palmo delle mani, ogni pezzetto, ogni parte che sia di sé. Il cuore è leggero e aperto, capace di stare sul confine fra luce e ombra. Possiamo accoccolarci e abbassare la guardia per aprirci alle nostre emozioni. Il giudizio è sospeso. Il Tiglio sta nel centro del petto, al centro dove l’aprirsi lascia posto al chiudersi e il chiudersi attende di aprirsi. Prima di navigare il nostro mare, il Tiglio ci accompagna a quella condizione fisica e di fiducia che ci permette di fluire senza attriti, resistenze e paure, ci consente di abbandonarci con dolcezza e senza giudizio alla scoperta del nostro universo guidati dalle emozioni.

Sebbene questo universo impalpabile sia difficile da navigare, in realtà, è il più vero, l’unico valicabile per arrivare alla meta, per la comprensione più autentica del nostro vissuto e per la trasformazione della nostra vita, fino alla riconnessione con quelle dimensioni che abbiamo smarrito. Non la mente, non le parole, non quanto siamo abituati a raccontarci con i codici linguistici, la logica causa-effetto, può scardinare e scendere nei fondali dell’animo umano. Soltanto una navigazione disposta a inoltrarsi nelle tempeste notturne, quelle più cariche, in cui c’è il rischio di venir risucchiati dall’intensità del mare in burrasca può giungere alla meta, dove, in realtà, regnano pace e tranquillità.

A cosa servono le emozioni?

Le emozioni sono essenziali in quanto ci informano su chi siamo, sul dove stiamo andando e su come sono le nostre relazioni con gli altri, aiutandoci a coordinare i processi sociali e, al contempo, aprendoci a un ventaglio di molteplici possibilità di azione che tracciano il senso delle esperienze. A livello subatomico, da queste dipende il sottofondo sonoro della nostra energia di campo, che si ripercuote ad ampio raggio sulle frequenze di chi o cosa incontriamo, divenendo una linea d’onda preferenziale per la ricezione di informazioni che modulano l’interazione.
Difatti, il carattere fondamentale dell’emozionarsi può essere paragonato a un’altalena, una sorta di struttura oscillante per cui un modo di sentirsi si riferisce sempre a una situazione e, reciprocamente, la situazione mostra la sua significatività, illuminandosi, secondo un modo di sentirsi. È questa esperienza che ha fatto parlare il filosofo Sartre dell’emozione quasi come di un atto magico che permette di trasformare il mondo.
L’etimologia del termine “emozione” (da ex-movere), non a caso, lascia intuire che essa sia un’energia con una forza dinamica, che ci consente di muoverci nel mondo attraverso meccanismi atti a preservare la specie. I sentimenti, infatti, come ci insegna la storia della progressione umana, ci hanno guidato con saggezza lungo il cammino del cambiamento collettivo (Goleman, 1995). Come aveva ben compreso Charles Darwin (1872) le emozioni sono state parte fondamentale dell’evoluzione, in quanto hanno permesso agli esseri umani e agli animali di sopravvivere. Pensiamo ai sentimenti di amore e affetto che guidano le persone a cercare compagni e a riprodursi o ai sentimenti di paura che le portano a combattere o fuggire dinanzi a un pericolo.  Le emozioni esistono perché svolgono un ruolo adattativo, motivando a rispondere rapidamente agli stimoli dell'ambiente, il che aiuta a migliorare le possibilità di successo e sopravvivenza. Impossibile diviene, dunque, comprendere il comportamento e la natura dell’uomo prescindendo dai processi emotivi, dalla loro danza, poiché essi hanno un’azione direttiva sulla sua condotta e sulle sue scelte.

 

La nostra vita è emozione e l'emozione ci dà vita

Nessun uomo è vivo senza quella luce sconosciuta che gli abita dentro. Essere nel qui e ora delle cose vuol dire essere sempre “emotivamente situati”, ossia compartecipi e parte di un tutto più grande il quale si tinge e prende forma a partire dai nostri contenuti emotivi. Le emozioni, oltre a giocare un ruolo fondamentale nel funzionamento personale, nel colorare le esperienze della nostra vita, e culturale, nel tenere insieme la società umana, sono la pietra basilare - energia informata ad alta carica elettromagnetica - su cui prendono forma i nostri pensieri, le nostre credenze condivise e, di conseguenza, ciò che sarà la trama del nostro destino.

La Natura riconosce la emozione e se ne nutre. Le piante creano comunicazione con gli umani soprattutto attraverso questi campi di energia informata che possono con le loro bio intelligenze e sistemi sensoriali decifrare, comprendere, ascoltare e, da qui, creare feedback e risposte biologiche. Tutto il Popolo Vegetale è connesso con le emozioni che sottendono ai nostri gesti. Cosa intendo dire? Ecco un semplice esempio che descrive studi iniziati negli anni ‘60 e che sono stati attualmente ripresi e sviluppati e che il sapere antico conosceva. Ho un caspo di insalata nell’orto pronto per essere tagliato. L’insalata non reagisce al taglio in sé, ma all’emozione che prova, vive e lancia la persona che esegue l’operazione. Il sistema sensoriale carpisce l’atteggiamento che ha la persona, perché questo è mosso da un’emozione. Se provo gioia perché il mio corpo desidera nutrirsi di verdura cruda, magari per il risultato di un lavoro fatto direttamente nell’orto, e magari quel caspo è cresciuto da un'esperienza di vita, ecco che il taglio non creerà alcun fastidio, sofferenza, paura. Il sistema sensoriale della pianta rimarrà in pace. Se invece provo disgusto perché non sopporto alimentarmi con foglie fresche e in più sono arrabbiato perché mi sento obbligato a farlo, ecco che in giardino la pianta già entra in una sorta di disagio e allerta, un disagio molto simile alla sofferenza.

Forse la cosa che lascia nel più totale spaesamento e senso di abbandono il mondo delle piante è davvero l’assenza di emozioni da parte degli umani, cioè l'indifferenza.

 

Tratto da "Emozionarsi", di Carmen Di Muro e Lucilla Satanassi, Humusedizioni

Categoria: Salute e Benessere , Visione Olistica
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